LAVORATORI UNICOOP DEI MAGAZZINI DI LASTRA A SIGNA & SESTO FIORENTINO

GRANDEVETRO N.70 - DICEMBRE 2004 - LA COOP SEI TU


I tempi cambiano. E succede quello che non t'aspetti. O fingi di non aspettarti. Già nel numero speciale del Grandevetro sugli ipermermercati e il lavoro del settembre 2000 la questione "Coop" fu ampiamente analizzata dai più svariati punti di vista, non senza qualche prima, timida perplessità sul dilagare allora ancora incontrastato di quest'azienda, e sulle sue possibili conseguenze. Sono passati ormai 5 anni da quell'inchiesta, e molte di quelle conseguenze nel frattempo non si sono fatte attendere. Ce ne parlano per esperienza diretta due amici (non diremo i loro nomi per correttezza) che alla Coop lavorano da più di dieci anni, più precisamente al centro di distribuzione dell'Unicoop Firenze a Scandicci. La loro vicenda non stupirebbe affatto se fossero stati dipendenti di una qualunque altra azienda privata, ma acquista incredibile interesse proprio perché coinvolge un simbolo rappresentativo a livello nazionale dell'intera Lega delle Cooperative, una realtà che in Italia (e ancor più in Toscana) è sempre stata sinonimo di eticità e rispetto, per i suoi clienti come per i suoi operai, affermandosi e tessendo ben presto una fitta rete di interessi politico-economici con i più importanti settori della società. Un grande successo, dunque, ottenuto anche instaurando nel tempo un legame di profondo attaccamento, da "grande famiglia", tra i dipendenti e l'azienda. Ma anche nelle migliori famiglie arriva il momento di scendere a compromessi: e accade che anche l'equa e solidale Coop si debba adeguare ai tempi che corrono e seguire la corrente neoliberista imperante, appaltando un sempre maggior numero di turni di lavoro a ditte esterne. Tutto ha inizio nel luglio 2001, quando il turno notturno del reparto "generi vari" viene affidato non agli operai Coop ma a quelli della CFT (Cooperativa di Facchinaggio e Trasporto) di Novoli, che di fatto fa parte della stessa Lega delle Cooperative ed utilizza principalmente la manodopera di extracomunitari in cerca del permesso di soggiorno, offrendo loro l'inserimento nel tessuto sociale e ottenendone una manodopera a costi indubbiamente inferiori a quelli di un normale dipendente Coop. Ma è solo l'inizio di un processo di spostamento e ricollocamento dell'intera attività di stoccaggio. Viene infatti alla luce un vero e proprio progetto aziendale che prevede di esternalizzare l'intera logistica: così nel 2003 l'appalto alla CFT viene esteso anche al reparto "salumi e latticini" e alla fine del 2004 l'azienda porta alla luce le sue reali intenzioni, quelle di concentrare i "suoi" lavoratori nel solo turno mattutino, lasciando così campo libero agli "esterni". Dopo un primo apparente ripensamento da parte della dirigenza il progetto trova la sua piena attuazione e venerdì 28 gennaio 2005 tutti i lavoratori interessati ricevono uno scarno e freddo telegramma "…per comunicarle, ove occorrer possa, che il suo nuovo turno di lavoro settimanale si effettuerà dalle ore 5,25 alle ore 12,52. La invitiamo a presentarsi al lavoro in tale orario, ricordandole che la sua prestazione lavorativa non sarà accettata in altro orario lavorativo." L'episodio nasconde molti più significati di quanto apparentemente non sembri: aldilà dell'innegabile sbalordimento, sul piano umano, di fronte all'uso di un linguaggio così "robotico" per comunicare una notizia così traumatica ad una persona che per 10 anni ha strutturato lo scorrere della sua stessa esistenza e di quella di tutta la sua famiglia su un determinato orario di lavoro, e che ha visto dunque stravolto (e tutto questo detto da un signore che si firma orgogliosamente "Direttore delle Risorse Umane"), i nostri due intervistati ci fanno porre l'attenzione sull'orario di uscita. Essi infatti staccano un po' prima delle 13, gli altri sarebbero entrati appena dopo quell'ora. Il sospetto era che i dirigenti non volessero farli incontrare con i lavoratori della CFT per non creare scomode alleanze interne. Un ulteriore sospetto, molto più fondato, era che i lavoratori CFT fossero indotti a superare ampiamente il loro orario, fino a notte tarda. Questa scoperta potrebbe aprire lunghe discussioni (quello che la Coop vuol nascondere ai suoi dipendenti è che gli operai della CFT lavorano a condizioni quasi disumane con turni massacranti, qualcosa che somiglia molto al cottimo e comunque indicizza lo stipendio, pur di ottenere i premi di produzione? Se sì, perché proprio la Coop, in cui tanta fiducia è riposta da tutti, permette che questo accada? La competitività sul mercato basta come scusa?), ma resta il fatto che quella che fino a ieri era considerata da tutti una impresa ancora a conduzione "familiare" si sta pericolosamente trasformando in una macchina produttiva in stile cinese: di fatto non vi è, ad oggi, una seria e reale rappresentanza sindacale a protezione dei diritti degli operai Coop, anzi, secondo quanto ci dicono i nostri interlocutori vi è sempre stata una vera e propria commistione fra CGIL e dirigenza aziendale, un legame a doppio filo (delegati sindacali premiati con promozioni sul posto di lavoro, dirigenti Coop provenienti dalla stessa CGIL anziché dall'azienda, e così via), e questo perché si dava per scontato che i lavoratori fossero già di per sé tutelati. Così non è più, CGIL non si è mossa in difesa degli operai che sono stati tolti dai propri turni e ricollocati (a differenza della UIL, che dopo circa 2 mesi è scesa in campo in difesa dei propri tesserati), benché un articolo del 1970 del contratto dei lavoratori delle cooperative preveda che gli orari siano sempre concordati coi rappresentanti dei dipendenti, e non imposti. Ed è proprio su questo punto che 20 operai, tra cui i nostri 2 amici (e 15 tesserati UIL, appunto), hanno deciso di far leva per intentare causa privatamente contro la Coop. Alla domanda su quali siano le loro reali speranze essi rispondono, con un'alzata di spalle, che l'importante è far capire all'azienda che sta sbagliando, che non può gettare al vento una fama di solidarietà e umanità costruita negli anni. Anch'essi sono pienamente consapevoli del momento di crisi generale, a cui si aggiungono l'incipiente, scomoda avanzata dei discount, la non brillantissima resa di alcuni degli ipermercati su cui si era puntato di più, senza dimenticare che con la legge sul diritto societario del '96 adesso anche sulla Coop grava un più pesante carico tributario. Ma sanno anche che la Coop non è affatto così alle strette (non possiamo avere nemmeno una vaga idea di quanto denaro provenga dal prestito sociale, vera e propria cassaforte dell'azienda), che al marzo del 2005 ha dichiarato un + 4,5% di utili, dunque chiedono solo che su questa situazione di ansia per il loro futuro (e per quello di tutti i colleghi ugualmente in preoccupata attesa di trasferimento) sia fatta chiarezza. Intanto si stanno facendo sentire, hanno aperto una casella e-mail per chiunque voglia comunicare con loro, lavoratoriunicoop@hotmail.it, e tra breve un loro sito sarà consultabile sul Web, nella speranza che l'evento abbia la risonanza che merita. Da parte nostra promettiamo di tenere aggiornato sull'accaduto il nostro giornale, cercando anche di interpellare le altre parti in causa, la CFT e, chissà, forse anche la stessa Coop.

MARCO BANDINI


http://www.ilgrandevetro.it/


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